…MA DI EMOZIONI SI DEVE PARLARE…

Se non è il caso di fare i tuttologi credo che sia fondamentale dare nome a quello che sentiamo. Dietro ad azioni veloci e rapide, dietro a schemi di comportamento, ci sono delle emozioni che hanno bisogno di essere pensate. SEMPRE E IN QUESTO MOMENTO DI PIU’.

Dietro ai “FACILONI” che dicono “Mah io non ci credo”, c’è un’emozione;

Dietro agli “IPOCONDRIACI” che si chiudono in casa, c’è un’emozione;

Dietro ai “COMPLOTTISTI” che vedono una strategia di eliminazione della specie umana, c’è un’emozione

La paura è l’emozione che mi viene in mente ora, mentre scrivo, ma può darsi che non ci sia solo questo; forse angoscia.

Può anche essere che in questa “pausa forzata” si nasconda anche la possibilità di silenzio, un silenzio che permetta di ascoltarsi e ascoltare l’altro. Può darsi che si possa stare in modo differente sui legami.

Un’occasione, dunque.

Può darsi.

Non c’è un’unica risposta o soluzione perché siamo complessi. Ed ognuno di noi declina i vissuti in modo differente a seconda della propria esperienza.

Diamo, perciò, respiro a quello che sentiamo, non ci può solo essere il coraggio, come viene spesso suggerito, il think positive,  ma anche una quota di angoscia e dolore, e via dicendo. Le nuances del nostro mondo interiore sono tante, purtroppo col passare del tempo ci abituiamo ad utilizzarne poche, il minimo indispensabile.

Non puoi fuggire da te stesso per sempre, devi fare ritorno e riuscire ad amarti” C.G.Jung

Due parole sul desiderio

Perché accada qualsiasi evento c’è bisogno di una differenza di potenziale
e ci vogliono due livelli bisogna essere in due, allora accade qualcosa […].
Un desiderio è costruire“.

Deleuze

 

Nell’enciclopedia della psicoanalisi di Laplanche e Pontalis, la parola DESIDERIO viene distinta da bisogno che è rivolto ad un oggetto e si soddisfa con esso e domanda che è rivolta ad altri. Il desiderio è invece rappresentato dallo scarto tra bisogno e domanda. Scarto, quindi differenza, distanza da. Se andiamo a riprendere l’etimologia della parola desiderio Questo termine deriva dal latino e risulta composto dalla preposizione de- che in latino ha sempre un’accezione negativa e dal termine sidus che significa, letteralmente, stella.

Desiderare significa, quindi, letteralmente, “mancanza di stelle”, nel senso di “avvertire la mancanza delle stelle”, di quei buoni presagi, dei buoni auspici e quindi per estensione questo verbo ha assunto anche l’accezione corrente, intesa come percezione di una mancanza e, di conseguenza, come sentimento di ricerca appassionata. Leggi tutto “Due parole sul desiderio”

Cosa faccio di quel che mi disturba?

Nell’articolo si parlerà del disagio come primo sentore che sta avvenendo qualcosa dentro di noi e come l’essere umano tenta di rispondere a questa emozione.

Grazie al mestiere che faccio, da molto tempo mi confronto con un sentimento importante che è la dissonanza, sia essa cognitiva o emotiva e, non ultima, anche sociale, lavorando da anni anche nel terzo settore.

Penso che la dissonanza sia quel fattore che ci mette fortemente in crisi e che possa spingerci a fare qualcosa in termini di cambiamento.

Le dissonanze, storicamente, hanno sempre suscitato un grande interesse e, dal mio punto di vista, hanno dato l’energia alla nascita della psicoanalisi. Cioè ad una vera e propria rivoluzione culturale e sociale.

Il termine dissonanza fu introdotto nel 1957 da Festinger, ma ripreso da Erikson proprio per descrivere situazioni di complessa elaborazione cognitiva in cui nozioni, credenze, opinioni esplicitate contemporaneamente nel soggetto in relazione ad un tema, si trovano a contrastare funzionalmente tra loro: questa “incoerenza” genera disagio, perciò l’essere umano cerca di
eliminarla o di ridurla il più possibile.

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Pensieri e domande aperte sulla scuola e sull’educazione

Nell’articolo si riflette sulla possibilità che nella scuola la diversità non sia letta come un limite, ma come indice di complessità e quindi di risorsa.

“I pensieri infantili sono sottili. A volte sono così affilati da penetrare nei territori più impervi arrivando a cogliere, in un istante, l’essenza di cose e relazioni. Ma sono fragili e volatili, si perdono già nel loro farsi e non tornano mai indietro.

così alla maggior parte delle bambini e dei bambini non è concesso il diritto di riconoscere la qualità dei propri pensieri e rendersi conto della loro profondità. A molti non è concesso neppure di arrivare ad esprimerli, perché un pensiero che non trova ascolto difficilmente prende forma e respiro” – Lorenzoni, 2014 

La scuola dovrebbe essere un po’ meglio della società

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Diversità o ricchezza, disagio o opportunità?

Nell’articolo si parlerà del disagio come opportunità di trasformazione

Nella nostra società usare il termine “anziano”, o peggio che mai, “vecchio” pare sia sbagliato. Da qui una serie di perifrasi, aggiustamenti, spesso ridicoli, che mascherano la verità. Come i ciechi vengono definiti “non vedenti”, o un disabile viene definito “diversamente abile”, con verità alternative, Perché, che bisogno c’è di cambiare le parole? Se la verità è vissuta come un oltraggio, la finzione diviene l’unica via percorribile lungo il cammino di un’illusione questa sì, oltraggiosa. De Robertis, 2007

Il Disagio e la Risorsa

Come prima cosa vi chiedo di modificare il titolo in questo modo: Diversità e ricchezza, disagio e opportunità? Sembra altrimenti un aut-aut che toglie, diminuisce e scinde mentre a me piace pensare a tutto ciò che include. Fatta questa richiesta vorrei collocare questo intervento all’interno di un vertice teorico che definisco “clinico” nel senso che ha a che fare con la dinamica delle relazioni. Di nuovo mi interesso del titolo e trovo che le parole che colpiscono sono disagio e risorsa.

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