#5 Letture al tempo del virus

Stamattina c’è poesia, quella di una poetessa che mette in parole i movimenti emotivi degli essere umani con la grazia ma anche la concretezza di chi conosce la guerra e il perdono.

Indimenticabile il suo discorso quando le consegnarono il premio Nobel nel 1996. Quando lo lessi subito mi ha fatto pensare ad alcuni miei colleghi di lavoro.

l’ispirazione non è un privilegio esclusivo dei poeti o degli artisti in genere. C’è, c’è stato e sempre ci sarà un gruppo di individui visitati dall’ispirazione. Sono tutti quelli che coscientemente si scelgono un lavoro e lo svolgono con passione e fantasia.

Ci sono medici siffatti, ci sono pedagoghi siffatti, ci sono giardinieri siffatti e ancora un centinaio di altre professioni. Il loro lavoro può costituire un’incessante avventura, se solo sanno scorgere in esso sfide sempre nuove. Malgrado le difficoltà e le sconfitte, la loro curiosità non viene meno. Da ogni nuovo problema risolto scaturisce per loro un profluvio di nuovi interrogativi.

L’ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante “non so”.

Di persone così non ce ne sono molte. La maggioranza degli abitanti di questa terra lavora per procurasi da vivere, lavora perché deve. Non sono essi a scegliersi il lavoro per passione, sono le circostanze della vita che scelgono per loro. Un lavoro non amato, un lavoro che annoia, apprezzato solo perché comunque non a tutti accessibile, è una delle più grandi sventure umane. E nulla lascia presagire che i prossimi secoli apporteranno in questo campo un qualche felice cambiamento.

Posso dire pertanto che se è vero che tolgo ai poeti il monopolio dell’ispirazione, li colloco comunque nel ristretto gruppo degli eletti dalla sorte.

OGNI CASO di W. Szymborska

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Poteva accadere.
Doveva accadere.
E’ accaduto prima. Dopo.
Più vicino. Più lontano.
E’accaduto non a te.
Ti sei salvato perché eri il primo.
Ti sei salvato perché eri l’ultimo.
Perché da solo. Perché la gente.
Perché a sinistra. Perché a destra.
Perché la pioggia. Perché un’ombra.
Perché splendeva il sole.
Per fortuna là c’era un bosco.
Per fortuna non c’erano alberi.
Per fortuna una rotaia, un gancio, una trave, un freno,
un telaio, una curva, un millimetro, un secondo.
Per fortuna sull’acqua galleggiava un rasoio.
In seguito a, poiché, eppure, malgrado.
Che sarebbe accaduto se una mano, una gamba,
a un passo, a un pelo
da una coincidenza.
Dunque ci sei? Dritto dall’animo ancora socchiuso?
La rete aveva solo un buco, e tu proprio da lì? Non c’è fine al mio stupore, al mio tacerlo.
Ascolta
come mi batte forte il tuo cuore.

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