DISTINGUERE TRA FIDUCIA E FEDE

Questa mattina, appena sveglia, ho iniziato a girovagare coi miei pensieri su questi tempi che attraversiamo. Un tema, per esempio, che rimbalza ininterrottamente ora è quello del vaccino.

Ma a ben guardare non è così differente da come sono trattati altri temi. E nell’associare liberamente, durante il dormiveglia, la mia mente si è incagliata su una parola, “fiducia” e di quanto ne sento parlare, abusando del suo significato profondo.

Fiducia deriva dal latino fides, che significa “riconoscimento dell’affidabilità dell’altro”, indica, cioè, qualcosa che si conquista nella relazione e, necessariamente, richiede l’incontro con l’altro, un contatto.

Questa è la grandissima differenza tra fiducia e fede. Quest’ultima è un atto assoluto, non prevede relazione o incontro; alla fede ci si deve abbandonare mentre in un rapporto di fiducia questo non può avvenire.

La fides che sta alle spalle della nostra fiducia non è un atto istintivo, è invece un atto in cui abbiamo bisogno di familiarizzare, di esporci, di condividere, di saggiare la lealtà di chi ci sta davanti. Soltanto dopo tutto questo daremo fiducia. Quando abbiamo stabilito intimità, diventiamo sicuri che se il depositario della nostra fiducia dovrà decidere per noi lo farà nel nostro interesse” da Marco Balzano, Resto qui.

Quando emerge la necessità di fidarsi?

Il bisogno di fiducia nasce dalla consapevolezza dei nostri limiti che ci impongono di cercare qualcuno di cui fidarci.

Infatti è dalla consapevolezza del limite che nasce il bisogno di accogliere l’altro, in una relazione. Insufficienti a noi stessi fin dal primo momento quando la nostra sopravvivenza è collegata all’aspettativa che il bambino ripone nella madre che tornerà a nutrirlo.

Non è cosa da poco sapere che la fiducia è un atto sospeso.

Oggi pare si viva in una grossa bolla, nell’illusione cioè che possedere delle cose sia non solo sufficiente ma necessario. Questa illusione, non è indolore anzi,  alimenta il nostro senso di onnipotenza. Sappiate, però, che una medaglia è sempre fatta di due facce; l’altra faccia dell’onnipotenza è il suo opposto, l’impotenza.

Sentirsi onnipotenti ci sintonizza con un’idea di mercato che ci fa credere di essere autosufficienti. Quante volte abbiamo sentito la frase “la fiducia nei mercati”.

Ma che fiducia è?

La fiducia che ci viene chiesta non deriva dalla pratica, lenta e faticosa, della conoscenza. La fiducia che emerge nella comunicazione politica e pubblicitaria (potremmo chiamarla ricerca di consenso?) è calata dall’alto.

Non è fiducia, dunque, sembra piuttosto una richiesta di fede (ed ovviamente non può essere una fede perché non ne ha l’autorevolezza).

Quindi succede che il nostro essere soggetti, capaci di divenire, la nostra parte attiva prova ad essere eliminata: in questa dinamica non ci viene mai chiesto di partecipare, di essere in relazione nel cambiamento, di agire, se non quando dobbiamo dire sì, quando dobbiamo alzare la mano per votare la fiducia o per dire che anche noi vogliamo quel prodotto. Ci avete fatto caso?

Ed infatti scompare la relazione. La richiesta è di essere gli unici a dare fiducia, non c’è un’altra parte che ha teso la mano, ha costruito insieme a noi e che ci ha conquistati.

Per tale ragione ciò di cui spesso sentiamo parlare non sembra essere fiducia che non può esistere senza l’altro, se non c’è relazione. In una relazione si è almeno in due.

Indicazione operativa: perché è necessaria la fiducia?

A me sembra un antidoto contro la paura che sento dilagare.

Perché quello che mi pare di scorgere è un inferno fatto di assenza di dimensioni di profondità. Botte e risposte, consigli, vademecum, la rigidità del pensiero unico, nemico della complessità.

Poiché non sono brava coi grandi numeri, nelle vastità dei pensieri vacui mi perdo, e come me tanti altri, mi piace pensare che per ridurre questo inferno (cito Calvino) una strada utile sia quella della cura, di ciò che inferno non è, cioè della fiducia, appunto, per uscire dall’onnipotenza e costruire giorno per giorno ciò che è possibile, avendo cura di me e dell’altro e di quello che possiamo costruire insieme.  

Il poster è dell’illustratrice Lorenza Natarella per per la mostra, curata da Graphic Days Torino e dal Museo Egizio.

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