A SCUOLA VADO MEGLIO…che idea c’è dietro questo slogan?

Foto di ANTONI SHKRABA da Pexels

Premessa


La seguente riflessione nasce dall’aver visto una pubblicità di un centro di logopedia, del mio Comune. Uno di quei centri, nati come funghi, dopo che la scuola ha cominciato a dire che le DIFFICOLTA’ DEI BAMBINI E DEI RAGAZZI NON LA RIGUARDANO PIU’. L’etimologia della parola riguardare è interessante: Riguardare v. tr. [comp. di ri– e guardare]. Guardare di nuovo, guardare con attenzione. Ed infine il significato più importante: Custodire, serbare con attenzione, con riguardo.

Funzionare o esistere?


Il titolo richiama un testo di Miguel Benasayag e si concentra proprio su questo tema. L’autore cerca di portare una riflessione su una visione che vorrebbe che il percorso delle proprie vite fosse legato ad un piano di carriera “l’esperienza -scrive- non è riducibile a una raccolta di informazioni, l’esplorazione delle possibilità da parte del vivente è cosa affatto diversa dalla ricerca di performance”. M. Benasayag, 2018.

Tutto ciò che rappresenta una difficoltà, un’incrinatura, la famosa crepa da cui entrerebbe la luce, viene spesso indicata come una perdita di tempo piuttosto. Se questo è il vertice di osservazione da cui osserviamo quello che ci accade e quello che accade alle nuove generazioni, allora avremo una specifica conseguenza. La conseguenza sarà questa: quando verremo in contatto, come è normale che sia nel percorso di una vita, con momenti complicati, fatica a superare ostacoli, o cose più serie che come la pandemia, le guerre, allora la sensazione sarà quella di frammentarsi, di andare letteralmente in pezzi. 

Se la strategia consequenziale è quella di bypassare la confusione che origina da un momento difficile o evitare di stare nel dolore l’obiettivo sarà quella di ricominciare a funzionare. Ci sono molti modi che si possono usare per avere l’illusione “ricominciare a funzionare”. Mi vengono in mente cose concrete come l’uso di droghe (la cocaina ad esempio è la droga della performance) ma anche ad atteggiamenti autolesionisti, o l’agito rabbioso di certi gesti o, se lo prendiamo dal polo opposto, anche l’isolamento inteso come rinuncia al mondo della performance.

Se anche la scuola diventa il luogo della performance 


La scuola oggi utilizza la ‘didattica e la pedagogia delle competenze’, che insegna a modellarsi secondo le richieste della società, di una società che deve poter consumare e velocemente, che non deve approfondire e che, di fatto, mette sullo sfondo la trasmissione della cultura, lo sviluppo delle inclinazioni soggettive e i talenti, l’espressione di sé come esseri umani. Nei colloqui con i docenti i problemi prendono sempre più spazio che le risorse dei ragazzi e delle ragazze. Come se il puntino su un foglio bianco rappresentasse la cosa più importante.

Il benessere materiale aumenta, i consumi imperversano, ma la gioia di vivere non segue lo stesso ritmo, l’individuo iper-moderno perde in leggerezza di vivere quello che guadagna in rapidità operativa, in conforto, in allungamento del tempo di vita”. Michele Minolli, Essere e divenire. La sofferenza dell’individualismo, 2015.

La gioia di vivere la vedete nei volti dei “giovani” oggi?

Allora lo slogan “a scuola vado meglio”, fatto evidentemente da una struttura che si occupa di “recupero” di ragazzi con scarse performance, mi intristisce e impensierisce perchè sposta l’attenzione solo ed esclusivamente su un problema, un problema di risultati, e, infine, individualistico nel senso di personalistico. Non mi sembra un caso che dalla scuola sia scomparsa la dimensione ad esempio della gruppalità.

A cosa serve il gruppo?


Essere gruppo fa sentire l’importanza del raggiungere tutti insieme un risultato. Fa percepire che le proprie competenze possono essere messe a disposizione della comunità e non consumate per se stessi e basta. Il gruppo permette e contiene le emozioni pesanti, angoscianti, che da soli non possono essere portati. Il gruppo apre all’ipotesi di futuro. Quando si dice che per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio si fa riferimento a questa funzione della gruppalità. 

Conclusioni


Ci vogliono, allora, degli adulti che invece di sottrarsi al dolore, fornendo il bello velocemente, stiano con i “giovani”, stiano nella fragilità del momento con loro, fragilità che si può condividere e superare proprio perché messa in comune. I giovani devono potersi sentire pensati. Devono sapere che chi li precede pensi e curi uno spazio per loro, da lasciargli. Loro semmai hanno il compito di destrutturarlo e riorganizzarlo a modo loro. Capite bene che oggi avviene il contrario. Le nuove generazioni cominciano ad interiorizzare che ci sono adulti capaci di distruggere il loro futuro. Scrive Lorenzoni, maestro e formatore di maestri: “Se ci pensiamo bene noi adulti, presentandoci come capaci di guerra,  mostriamo ai nostri figli e nipoti in modo inesorabile che delle generazioni precedenti non ci si può fidare, nemmeno quando si è piccoli e fragili, e si dovrebbe essere protetti”. 

ALTERNANZA SCUOLA LAVORO: SCAMBIARE IL CONTENITORE PER IL CONTENUTO?

Come lo sguardo sul mondo organizza i contesti

A margine della gravissima tragedia accaduta in una esperienza di Alternanza Scuola Lavoro[1], poche settimane fa, mi vengono in mente una serie di riflessioni a partire dalla mia personale esperienza di questi progetti seguiti come responsabile della struttura di accoglienza degli studenti[2].   

L’obiettivo di questa esigenza non è certo quella di sminuire la portata della tragedia né difendere tout court l’Alternanza ma mettere il focus su una questione che ritengo centrale: il problema è il contenitore o il contenuto?

Per contenuto non intendo solo quello che è la proposta formativa fatta agli studenti, la proposta è direttamente legata alla visione che abbiamo delle persone e come crediamo che esse possano esprimere il meglio di sé, in tutte le fasi del ciclo di vita.

Fare l’esperienza della Asl dentro una cooperativa sociale, in altre parole, dovrebbe organizzare anche l’esperienza che verrà proposta e quello che ne riceveranno gli studenti.

Formazione o lavoro?

Nel nostro caso eravamo interessati a sperimentare cosa succedesse nel mettere insieme e collegare, differenti generazioni, ritenendo necessario, imprescindibile creare occasioni di scambio tra di essere con l’obiettivo di confrontare punti di vista, discuterne, confliggere nei dibattiti, arrivare a compromessi e negoziazioni.

Quando siamo venuti a conoscenza come Cooperativa di questa possibilità a disposizione della scuola (e quindi della comunità), abbiamo creduto importante portici investire, capire insieme agli istituti come mettere in rete cooperativa e scuola di fronte ad una finalità che possiamo dire comune: credere che il benessere di ognuno e il progresso civile della comunità siano trasformativi, costruendo la capacità dei singoli e della società di prendersi cura di chi ha meno potere, la scuola partendo da una formazione accessibile e gratuita a tutti gli studenti e noi, come cooperazione il favorire le condizioni di tutti i cittadini fragili.

Il lavoro di riflessione sulla comunità era ed è, garantita dal fatto che ci sono due gruppi, gruppo di utenti anziani e gruppo di studenti, che si incontrano grazie alla predisposizione di un tempo e di uno spazio, legittimato da una legge, operativamente trasformata in modalità didattica.

Quindi, ancora oggi, il progetto che proponiamo agli studenti non ha in alcun modo a che fare con lo sfruttamento di nessuno: non ci serve che gli studenti sappiano “accompagnare gli anziani al bagno”, è invece centrale che imparino competenze sociali e civiche riflettendo insieme su cosa significhi per loro essere cittadini.

Il gruppo come luogo per sviluppare competenza

Proponiamo di sviluppare la capacità di collaborazione, autoaffermazione ed integrità; imparare a stare nei gruppi discutendo le proprie idee, convinzioni tollerando la frustrazione che ne può derivare sviluppando la capacità di comunicare in modo costruttivo in una serie di ambienti distinti grazie alla competenza nel valutare e tollerare la diversità.

Capire e sapere gestire la differenza tra pubblico e privato, tra privato e contesto lavorativo e sapersi muovere in contesti differenti. Creare con loro un contesto di interesse sullo sviluppo socioeconomico, della comunicazione interculturale.

Imparare a tollerare la confusione

Soprattutto, queste esperienze servono, a tollerare la confusione che stare in contesti nuovi genera, starci provando a capire cosa succede dentro e fuori di noi.

Questo è però il modo, come si scriveva all’inizio, con cui un certo parte di economia (terzo settore) , alcuni gruppi di lavoro, alcuni professionisti guardano il mondo.  

L’interesse specifico è quello di sviluppare la comunità e le relazioni che in essa di costruiscono, comprendere il come, costruire nuove categorie di lettura di ciò che accade.

E’ una differenza sostanziale, di epistemologia, rappresenta la teoria che abbiamo sulle persone e che orienta il proprio metodo di intervento, e le azioni che ne conseguono.


[1] “LAlternanza scuola-lavoro, obbligatoria per tutte le studentesse e gli studenti degli ultimi tre anni delle scuole superiori, licei compresi, è una delle innovazioni più significative della legge 107 del 2015 (La Buona Scuola) in linea con il principio della scuola aperta”. https://www.istruzione.it/alternanza/cos-e-alternanza.html

[2] Centro Diurno Anziani Fragili Elianto gestito per conto del Distretto 5.1 dalla Iskra Cooperativa Sociale Onlus di cui sono socia.

GRUPPO DI PSICOTERAPIA

Là dove ti mostri fragile, individui il tuo plurale, Roland Barthes

La psicoterapia di gruppo, come quella individuale, è volta ad aiutare chi vorrebbe sviluppare le sue risorse nell’affrontare le difficoltà e i problemi della propria vita. Ma, mentre nella terapia individuale il paziente si incontra con una sola persona, il terapeuta), nella terapia di gruppo si incontra con un intero gruppo e un terapeuta che in alcuni casi può essere affiancato da un co-conduttore. 

La terapia di gruppo si focalizza sulle interazioni tra i partecipanti, in questo modo è possibile occuparsi a fondo dei problemi relazionali.

L’obiettivo della psicoterapia di gruppo è aiutare a risolvere le difficoltà emotive ed incoraggiare lo sviluppo personale dei partecipanti al gruppo. Il terapeuta sceglie come partecipanti al gruppo, chi può beneficiare da questo tipo di terapia e chi può avere un influenza positiva sugli altri membri del gruppo.

🗓 1 INCONTRO SETTIMANALE –  IL GIOVEDì DALLE 18,15 ALLE 19,45

VIA CORSICA 33 INT. 1 – MONTEROTONDO

L’inserimento in gruppo è sempre precedeuto da colloqui individuali

Per informazioni e costi

Mail: alessiafedeli@icloud.com – Cellulare 3391531422

Di soglie e confini. Dal 2020 al 2021

Confine diceva il cartello
cercai la dogana, non c’era
non vidi dietro il cancello
ombra di terra straniera
“.

Giorgio Caproni – “Falsa indicazione” in Il muro della terra

Foto presa dal web

Ogni anno che finisce in me fa sorgere la domanda: cosa mi porto in questo nuovo anno, cosa lascio indietro?

Cosa può naturalmente travasare da uno all’altro. E anche, cosa ci ha insegnato questo anno bisestile, così funesto e a dir poco complicato?

Oggi mi sento ancora sul confine di questo passaggio. O sulla soglia?

Dal latino confine “Cum finis” cioè il luogo dove si finisce assieme, dunque il punto di incontro.

Il suo omologo è frontiera, che è il luogo dove abbiamo di fronte qualcuno, dove lo possiamo guardare negli occhi, dunque conoscerlo. I confini sono luoghi di incontro e di conoscenza, particolarmente custoditi perché rendono possibile gli scambi.

Gli esseri umani non fanno altro che esistere sul confine di qualcosa, non fanno altro che trovarsi “tra”.  Una linea che circoscrive l’esistenza di ognuno. Eppure dentro in essa, astratta o reale, la persona si riconosce. E’ lei stessa che la traccia. 

ELENA ZAPPAROLI – “IN – OLTRE” – Mostra fotografica “Confini” – Una ‘linea’ che separa come limite comune.

Separa ma unisce al tempo stesso poiché è pur sempre un limite comune.

Spesso confondiamo il significato di confine descrivendolo come qualcosa che impone un fermarsi, un limite invalicabile. L’idea insita nel confine così inteso è, evidentemente, un’idea di segno, di soglia: il confine, nelle indicazioni della politica attuale, indica un limite invalicabile, uno stop, una soglia che può superare solo chi ha determinate carte in regola.

In realtà in latino per questo significato usiamo la parola limes che rimanda al concetto di limite e che condivide la radice con il limen, la soglia.

Quest’anno per me è stato l’anno della costruzione di reti professionali e la sensazione è di essere sempre con un atteggiamento di confine: nulla può essere dato per scontato, tutto va costruito nel momento dell’incontrarsi. E’ faticossissimo perché presuppone di conoscersi sufficientemente bene se stessi e mai dare per dato l’altro.

Sono convinta tuttavia che siamo tutti troppo grandi e insieme troppo piccoli per privarci di punti di incontro, di luoghi dove ci si possa guardare di fronte.

Spero che quest’anno ci riporti non solo la possibilità di abbracciarci ma di stringerci le mani anche.

Buon Anno a tutti

Maurits Cornelis Escher, Vincolo d’unione (1956; litografia, 25,3×33,9 cm; Collezione Giudiceandrea Federico; All M.C. Escher works © 2016 The M.C. Escher Company)

DISTINGUERE TRA FIDUCIA E FEDE

Questa mattina, appena sveglia, ho iniziato a girovagare coi miei pensieri su questi tempi che attraversiamo. Un tema, per esempio, che rimbalza ininterrottamente ora è quello del vaccino.

Ma a ben guardare non è così differente da come sono trattati altri temi. E nell’associare liberamente, durante il dormiveglia, la mia mente si è incagliata su una parola, “fiducia” e di quanto ne sento parlare, abusando del suo significato profondo.

Fiducia deriva dal latino fides, che significa “riconoscimento dell’affidabilità dell’altro”, indica, cioè, qualcosa che si conquista nella relazione e, necessariamente, richiede l’incontro con l’altro, un contatto.

Questa è la grandissima differenza tra fiducia e fede. Quest’ultima è un atto assoluto, non prevede relazione o incontro; alla fede ci si deve abbandonare mentre in un rapporto di fiducia questo non può avvenire.

La fides che sta alle spalle della nostra fiducia non è un atto istintivo, è invece un atto in cui abbiamo bisogno di familiarizzare, di esporci, di condividere, di saggiare la lealtà di chi ci sta davanti. Soltanto dopo tutto questo daremo fiducia. Quando abbiamo stabilito intimità, diventiamo sicuri che se il depositario della nostra fiducia dovrà decidere per noi lo farà nel nostro interesse” da Marco Balzano, Resto qui.

Quando emerge la necessità di fidarsi?

Il bisogno di fiducia nasce dalla consapevolezza dei nostri limiti che ci impongono di cercare qualcuno di cui fidarci.

Infatti è dalla consapevolezza del limite che nasce il bisogno di accogliere l’altro, in una relazione. Insufficienti a noi stessi fin dal primo momento quando la nostra sopravvivenza è collegata all’aspettativa che il bambino ripone nella madre che tornerà a nutrirlo.

Non è cosa da poco sapere che la fiducia è un atto sospeso.

Oggi pare si viva in una grossa bolla, nell’illusione cioè che possedere delle cose sia non solo sufficiente ma necessario. Questa illusione, non è indolore anzi,  alimenta il nostro senso di onnipotenza. Sappiate, però, che una medaglia è sempre fatta di due facce; l’altra faccia dell’onnipotenza è il suo opposto, l’impotenza.

Sentirsi onnipotenti ci sintonizza con un’idea di mercato che ci fa credere di essere autosufficienti. Quante volte abbiamo sentito la frase “la fiducia nei mercati”.

Ma che fiducia è?

La fiducia che ci viene chiesta non deriva dalla pratica, lenta e faticosa, della conoscenza. La fiducia che emerge nella comunicazione politica e pubblicitaria (potremmo chiamarla ricerca di consenso?) è calata dall’alto.

Non è fiducia, dunque, sembra piuttosto una richiesta di fede (ed ovviamente non può essere una fede perché non ne ha l’autorevolezza).

Quindi succede che il nostro essere soggetti, capaci di divenire, la nostra parte attiva prova ad essere eliminata: in questa dinamica non ci viene mai chiesto di partecipare, di essere in relazione nel cambiamento, di agire, se non quando dobbiamo dire sì, quando dobbiamo alzare la mano per votare la fiducia o per dire che anche noi vogliamo quel prodotto. Ci avete fatto caso?

Ed infatti scompare la relazione. La richiesta è di essere gli unici a dare fiducia, non c’è un’altra parte che ha teso la mano, ha costruito insieme a noi e che ci ha conquistati.

Per tale ragione ciò di cui spesso sentiamo parlare non sembra essere fiducia che non può esistere senza l’altro, se non c’è relazione. In una relazione si è almeno in due.

Indicazione operativa: perché è necessaria la fiducia?

A me sembra un antidoto contro la paura che sento dilagare.

Perché quello che mi pare di scorgere è un inferno fatto di assenza di dimensioni di profondità. Botte e risposte, consigli, vademecum, la rigidità del pensiero unico, nemico della complessità.

Poiché non sono brava coi grandi numeri, nelle vastità dei pensieri vacui mi perdo, e come me tanti altri, mi piace pensare che per ridurre questo inferno (cito Calvino) una strada utile sia quella della cura, di ciò che inferno non è, cioè della fiducia, appunto, per uscire dall’onnipotenza e costruire giorno per giorno ciò che è possibile, avendo cura di me e dell’altro e di quello che possiamo costruire insieme.  

Il poster è dell’illustratrice Lorenza Natarella per per la mostra, curata da Graphic Days Torino e dal Museo Egizio.

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