In questo momento i punti di riferimento sono molto labili. Dentro le nostre menti le emozioni sembrano palline di un flipper quando fanno il tilt. In questo momento dove il soggetto appare ancora più fragile e io mi sento un pò più fragile e con paletti di pensiero, meno fissi, leggere mi aiuta. Leggere romanzi, certo, ma anche gli articoli che mi arrivano generosamente da colleghi. Mi aiutano a pensare, a fissare meglio i paletti, a spostarli, a toglierli e sostituirli.
Per tale ragione pubblicherò questi articoli quando arriveranno a me, con un pensiero sul perchè l’articolo mi ha colpita.
Iniziamo da un articolo giratomi dalla Dottoressa Viviana Fini
I due stili strategici di gestione dell’epidemia a confronto di ROBERTO BUFFAGNI
L’articolo, scritto in maniera semplice, chiara e diretta, ha fermato la mia attenzione sulla lettura che fa dell’Italia, che sento vera in me come italiana. L’autore sostiene che l’Italia è un paese, che grazie alle sue radici storiche, filosofiche e sociali, arriva ad essere un Bel Paese, e a fare scelte corrette, spesso però senza capirne veramente il perchè. Ogni tanto anche io mi sento così.
Dall’articolo “Concludo dicendo che sono contento che l’Italia abbia scelto di salvare tutti i salvabili. Lo sta facendo goffamente, e non sa bene perché lo fa: ma lo fa. Stavolta è facile dire: right or wrong, my country“.
Giusto o sbagliata, questa e la mia Nazione/Giusta o sbagliata, questa sono io
La capacità negativa viene definita come: “Quella capacità che un uomo possiede di perseverare nelle incertezze attraverso i misteri e i dubbi, senza lasciarsi andare a un’agitata ricerca di fatti e ragioni” (Bion, 1970, p. 169).
La psicoanalisi può essere una preziosa risorsa per approfondire lo studio dei meccanismi di difesa individuali e comunitari nei confronti della presa di coscienza dei gravi problemi con cui oggi siamo costretti a confrontarci, delle sfide con cui ci dobbiamo misurare in relazione al complesso e contradditorio contrasto all’epidemia da coronavirus che comincia a pesare sulle nostre esistenze. Risulta impossibile parlare di un immaginario individuale senza considerare quello collettivo, che lo sottende e, anzi lo impregna, in un rapporto di codeterminazione reciproca. E non possiamo attestarci sull’immagine di un ambiente che sia solo un fuori sganciato dalla rappresentazione che ne abbiamo al nostro interno.
L’uso dei meccanismi di difesa per contrastare l’angoscia
Sono messi in atto vari meccanismi di difesa, la scissione, l’intellettualizzazione, la rimozione, il dislocamento, la repressione, il diniego, la banalizzazione. Ognuna di queste soluzioni difensive, volendo tamponare, ma anche nascondere, l’angoscia che deriva dalla difficoltà a confrontarsi di un pericolo non immediatamente arginabile.
A questo proposito, sono belli i pensieri di Anna Ferruta (2020) che mette in evidenza il piacere della responsabilità personale, del prendersi cura della propria condizione come antidoto sia alla paura che all’indifferenza, perché permette di scoprire energie sconosciute, di utilizzarle per sé e di metterle a disposizione degli altri.
Bion e la “capacità negativa”
Ancora Bion sottolineerà in Cogitations“[Il valore del]processo della consapevolezza di elementi incoerenti e la capacità dell’individuo di tollerare questa consapevolezza” (Bion, 1992, p. 201).
Gli psicoanalisti dovrebbero contribuire a ravvivare la capacità di pensare e sognare un futuro migliore e di impegnarsi nel contribuire alla valorizzazione del senso della misura e della sobrietà, reagendo ai sentimenti di catastrofe, di fine della Storia come finora l’abbiamo conosciuta, che in questi momenti difficili possono ci attanagliarci, contemplando con integrità e sincerità anche gli aspetti spiacevoli dell’esistenza, ma favorendo la possibilità di viverli con una maggiore coscienza riflessiva attraverso il paziente e continuo lavoro della simbolizzazione.
Se non è il caso di fare i tuttologi credo che sia fondamentale dare nome a quello che sentiamo. Dietro ad azioni veloci e rapide, dietro a schemi di comportamento, ci sono delle emozioni che hanno bisogno di essere pensate. SEMPRE E IN QUESTO MOMENTO DI PIU’.
Dietro ai “FACILONI” che dicono “Mah io non ci credo”, c’è un’emozione;
Dietro agli “IPOCONDRIACI” che si chiudono in casa, c’è un’emozione;
Dietro ai “COMPLOTTISTI” che vedono una strategia di eliminazione della specie umana, c’è un’emozione
La paura è l’emozione che mi viene in mente ora, mentre scrivo, ma può darsi che non ci sia solo questo; forse angoscia.
Può anche essere che in questa “pausa forzata” si nasconda anche la possibilità di silenzio, un silenzio che permetta di ascoltarsi e ascoltare l’altro. Può darsi che si possa stare in modo differente sui legami.
Un’occasione, dunque.
Può darsi.
Non c’è un’unica risposta o soluzione perché siamo complessi. Ed ognuno di noi declina i vissuti in modo differente a seconda della propria esperienza.
Diamo, perciò, respiro a quello che sentiamo, non ci può solo essere il coraggio, come viene spesso suggerito, il think positive, ma anche una quota di angoscia e dolore, e via dicendo. Le nuances del nostro mondo interiore sono tante, purtroppo col passare del tempo ci abituiamo ad utilizzarne poche, il minimo indispensabile.
“Non puoi fuggire da te stesso per sempre, devi fare ritorno e riuscire ad amarti” C.G.Jung
“L’arte è sovversiva perché è connessa all’inconscio. Più un film è connesso all’inconscio più è sovversivo. Come i sogni” David Cronenberg
Prendo spunto da questa frase di Cronenberg per parlare di ciò che, uscendo dal cinema dopo la proiezione del film Joker, ho pensato. Non sono in grado di capire se sia un capolavoro o no ma dal momento in cui l’ho visto ho iniziato a pensare alla patologia del narcisismo, quindi probabilmente il film ha in qualche modo parlato al mio di inconscio.
Mentre
siamo abbastanza capaci di rintracciare in alcune persone le caratteristiche di
un narcisista overt, quelli covert non sono così semplici da riconoscere. Entrambi,
infatti, presentano problemi di autostima ma mentre il primo, poco empatico e
molto invidioso, tende ad affrontarlo costruendo un senso esagerato di
superiorità e crede che tutto gli sia dovuto, l’altro prova una profonda
vergogna per le proprie ambizioni ed evita le relazioni sociali a causa di un
eccesso di sensibilità al rifiuto.
Due forme di narcisismo: overt (arrogante) e covert (timido)
Queste persone ci sembrano sensibili, premurosi, insicuri o poco dominanti, severi, idealisti, quasi tendenti al melanconico-depresso; non hanno come obiettivo la realizzazione ma solo perché non si sentono mai all’altezza della situazione o dell’altro. Quello che è meno visibile, perché ben nascosti sono i sogni di illimitata fama e successo. appaiono pigri, incapaci di trovare una via di mezzo tra gli estremi, (o tutto o niente), remissivi, fragili oppure vulnerabili in seguito ad un trauma, una sofferenza, una delusione o un’ingiustizia subita.
Il narcisista timido vive fuori dalla realtà, si immagina una vita
Mi viene in mente a tal proposito Walter Mitty, protagonista dai toni meno drammatici di Joker, di un racconto di James Thurber, pubblicato sul New Yorker nel 1939, che ha per titolo – per l’appunto – The Secret Life of Walter Mitty. (Successivamente ne è stato tratto un film dall’omonimo titolo, di e con Ben Stiller).
ne parla Ennio Flaiano, in un articolo per Il mondo, del 9 aprile 1949:
[…] Walter Mitty, certamente il personaggio più notevole del nostro tempo, se si eccettua Charlot, che del resto è suo padre. Walter Mitty ha questo di particolare, che ha ormai ripudiato la vita reale, ricca soltanto di difficoltà, di sgradevoli compagnie e di mortificazioni, per la vita che sa offrirsi con l’immaginazione, momento per momento. Egli ha sceso l’ultimo scalino della degradazione romantica e non ha altro conforto, che di vedersi vivere: però sotto altre spoglie e in ben altre circostanze che non siano quelle della sua mediocre esistenza. Soltanto in sogno Walter Mitty si concede la forza, l’intelligenza, la bellezza e l’audacia che pure sa di possedere. E, come Madame Bovary che legge Walter Scott e non sa immaginarsi l’amore se non in meravigliosi scenari gotici all’italiana, così Walter Mitty non può immaginarsi la vita se non negli scenari che gli suggerisce ogni sera il Cinema: perché Walter Mitty è il vero uomo nuovo del secolo, la dolce vittima del Cinema, e tutta la sua immaginazione è incatenata ai modelli eroici che ormai lo schermo ha proposto all’umanità.
e ancora:
“È imprudente amare, è imprudente odiare, agire, parlare, tacere, vivere. È prudente morire. Così dice, pressappoco, un personaggio di Shaw. Walter Mitty non si lascia incantare da questa pavida filosofia. Egli sa che è prudente sognare, e perciò ama, odia, agisce, parla, tace soltanto in sogno. Quanto alla vita quotidiana, quella di tutti, egli la trascorre in un isolamento implacabile, mal tollerato da un prossimo che, dopotutto, non s’accorge della sua presenza se non per metterla in dubbio o per rifiutare il suo amore. Togliete a Walter Mitty la facoltà di sognare e ne farete un autore di lettere anonime”.
Ecco, si tratta di un sottotipo di narcisismo.
Vorrei infine citare Cooper il quale afferma (Cooper, Ronningstam, 1992):
“Questi individui coltivano la maggior parte
delle loro attività narcisistiche in fantasia, essendo troppo inibiti per
renderle di pubblico dominio. E’ probabile che la loro autopresentazione sia
carica di vergogna e modestia e possa apparire profondamente empatica, poiché
le altre persone erroneamente interpretano il loro timido e preoccupato
desiderio di occuparsi di qualcuno come interesse genuino per gli altri.
Incapaci di mantenere relazioni personali durevoli, sono segretamente
denigratori, invidiosi delle persone che li circondano, e incapaci di trarre
soddisfazione dalle proprie realizzazioni, che a volte sono anche considerevoli ” (p. 59).
Quello che si legge nel link è che la depressione sembri essere uno dei problemi di salute mentale più diffusi e che ” SOLO la metà delle persone che soffrono di depressione riceve un aiuto adeguato in tempi rapidi. E c’è poi tutta la parte – ben una su 4 – che non risponde ai trattamenti“.
Per “trattamenti” si intende i farmaci ed è infatti la Fondazione ONDA che pubblica il Libro Bianco sulla depressione edito insieme alla Società di Psichiatria e con quella di NeuropsicoFARMACOLOGIA.
Se i farmaci non funzionano allora quali cure?
Nulla di male ma per questo tipi di malattie ci sono altre possibilità di intervento. Quello riportato nell’articolo è solo uno dei punti di osservazione del fenomeno, seppur importante. La psicoanalisi e le psicoterapie in generale sono interventi validi da affiancare alle terapie farmacologiche, fino ad arrivare, se tutto va bene, se i percorsi funzionano e non si tratta di disturbi gravi, a togliere i farmaci stessi.
Ricordiamo cos’è un’analisi
Con le parole del Prof. Lingiardi cosa è un percorso di analisi: “È una cura del dolore mentale, è un incontro, una relazione, un apprendistato, una cognizione del dolore, una “traversata”, come direbbe lo psicoanalista francese Jean Bertrand Pontalis. Un’esperienza di relazione e di cura che serve molti scopi. Uno è la (ri)costruzione della propria storia, sapere da dove veniamo. Un altro è imparare a vivere con noi stessi e le nostre fragilità. È anche uno stato mentale e affettivo, la capacità di immergersi nella memoria, di parlare di sé e dell’altro in termini psichici. L’analista al lavoro è un umano che si prende cura di un altro umano, con responsabilità e responsabilizzandolo“.
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